RACCONTA I SEGRETI DI COSA NOSTRA E LO STATO LO MANDA IN MANICOMIO: STORIA DI LEONARDO VITALE, INTERNATO DALLE ISTITUZIONI E UCCISO DALLA MAFIA
Un uomo entra negli uffici della squadra mobile di Palermo.
È il 30 marzo 1973, quell’uomo si chiama Leonardo Vitale ed è un mafioso.
Non è lì per compiere atti ostili e nemmeno perché ce lo hanno portato le forze dell’ordine. È arrivato di sua spontanea volontà, perché ha deciso di compiere un atto che nessuno in quegli anni si sarebbe mai sognato di fare: vuole costituirsi.
Agli agenti che lo ascoltano racconta dettagliatamente e senza reticenze tutti i crimini che ha commesso da quando è entrato in Cosa Nostra molti anni prima. Sequestri, intimidazioni, estorsioni, omicidi e un’infinità di reati minori.
Vitale si prende le responsabilità di ogni atto che ha commesso ma soprattutto parla dei complici, degli esecutori, dei mandanti e infine, cosa più importante, parla dell’organizzazione interna della mafia siciliana. Riti di iniziazione, organismi dirigenti, ruoli interni, posizioni ricoperte dai membri delle varie famiglie. Tutto nei minimi particolari, tutto minuziosamente. Lo fa senza aver alcun vantaggio, mosso da convincimenti personali.
Dieci anni prima di Tommaso Buscetta, lo Stato italiano ha in mano quello che la legge chiamerà “collaboratore di giustizia”. Dieci anni prima di Giovanni Falcone qualcuno ha delle informazioni che possono essere usate per aprire indagini, compiere arresti, infliggere duri colpi a Cosa Nostra.
Eppure gli inquirenti e i giudici che prenderanno in carico le dichiarazioni di Vitale finiranno per non credergli. A decretare la sorte che Vitale dovrà affrontare sarà la sua storia psichiatrica.
Bollato dal 1972 come malato di mente, Leonardo era stato sottoposto a ricoveri forzati, elettroshock e cure di psicofarmaci. Anche dopo le sue dichiarazioni i periti confermarono la diagnosi di seminfermità mentale. Dichiarato schizofrenico fu mandato al manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto dove dovette scontare gli anni di carcere che le sue stesse dichiarazioni gli erano costate.
Dichiarazioni che stranamente vennero utilizzate solo nei suoi confronti e in quelli di suo zio, leader della cosca Altarello di Baida, mentre non furono ritenute attendibili per tutti le altre decine di mafiosi, da Pippo Calò a Totò Riina, che Vitale aveva accusato.
Uscì distrutto dall’internamento solo nel 1984. Ma la libertà durò poco perché presto Cosa Nostra si vendicò di lui ammazzandolo a colpi di lupara mentre usciva dalla chiesa dei Cappuccini di Palermo.
Giovanni Falcone durante il maxiprocesso ne riabilitò la figura, dichiarando credibili le sue dichiarazioni.
A trent’anni dalla morte di Vitale resta gravissimo comportamento delle istituzioni e il lungo oblio a cui questa figura è stata relegata. Perché Leonardo Vitale, a differenza dei “pentiti” dei decenni seguenti, decise di parlare senza ottenere alcun vantaggio, mosso soltanto dai sensi di colpa per quello che aveva fatto.