di Alessandro Ambrosini
E’ il ventre infernale della Capitale che rumoreggia. E parla di una paura che sta crescendo tra le strade di Roma sud, ma non solo.
Più di dieci anni fa, scrissi un articolo che anticipò gli arresti di Mafia Capitale, due mesi prima del blitz che portò Massimo Carminati e decine tra amministratori e politici dietro le sbarre di Rebibbia. Tutto nasceva da un’attenta osservazione dei locali che sapevo essere frequentati da uomini vicini o aderenti all’aura del boss di Roma Nord. Un mondo sommerso ma neanche troppo, che faceva da raccordo ad altre famiglie criminali che albergano la Capitale. Una su tutte il clan di Michele Senese, vero senatore della criminalità organizzata a Roma. In quei giorni vidi svuotarsi centri scommesse, bar, locali notturni che di solito erano frequentati assiduamente da specializzati dei settori criminali, “cavalli” dello spaccio in primis. Rimanevano solo sporadiche sentinelle di un mondo che si stava preparando a una “tempesta perfetta”. Mai realmente avvenuta, se non sui giornali e sui media.
Oggi, che la geografia è cambiata per non cambiare. Oggi, che alcuni interpreti della criminalità romana sono “in pensione”, in carcere o morti ammazzati, il refrain non cambia. Da quel mondo sommerso emergono le stesse paure, lo stesso clima di ansia di quei giorni per l’imminenza di un repulisti sulle strade che vuole mettere fine a dei poteri “criminali” consolidati: le batterie di Senese in primis.
Quando lo Stato si vuole muovere per cancellare un clan, non solo ci riesce ma lo fa senza mezzi termini. Il potere investigativo, quando è supportato dalla volontà politica, è di assoluto valore. Ed è quello che sta lentamente emergendo nel chiacchiericcio, nelle voci che si rincorrono, nelle movenze di chi sa, di poter essere nelle liste che portano a essere svegliati tra luci blu, pettorine di riconoscimento e pistole di ordinanza spianate.
E’ il terrore che s’insinua, nel dubbio di essere stati intercettati, nei volti nuovi che ripetutamente i sodali del clan vedono dentro i bar che frequentano, senza conoscerli. Nelle macchine o nei furgoni che ripetutamente vedono parcheggiare vicino a casa, con l’ansia delle “ambientali”. Che sia realistico o meno. I T-max non tornano più a casa senza fare un giro ricognitivo, alcuni pensano di non dormire più dove risiedono ma da amici o in appartamenti subaffittati. Altri riallacciano rapporti con i loro avvocati per sapere che aria tira in Procura.
E’ una guerra di nervi, nata quest’estate. Da segnali che sembrano ripercorrere le stesse dinamiche del 2014. Allora, come oggi, si partì da servizi televisivi che iniziarono a portare alla luce dei forti sospetti sul ruolo di Carminati dentro i gironi infernali del crimine romano. Lo fece “Report”. Cui seguì l’Espresso. Oggi lo stesso ruolo l’ha svolto “Cento minuti”, il programma di Formigli e Nerazzini su La7, con la puntata sull’assassinio di Diabolik. Seguito dal libro di Francesca Fagnani sulla mala romana. E’ proprio l’omicidio del Parco degli Acquedotti il vero detonatore di tutto.
L’omicidio che ha aperto una falla enorme dentro il potere indiscusso di Michele Senese. Che ha, durante il processo che si sta tenendo a Roma dal 23 febbraio 2023, messo in evidenza ruoli e moventi che nella loro semplicità nascondono una complessità di rapporti e d’inganni degni di un romanzo. Ed è proprio dal processo che si coglie un segnale che potrebbe essere tutto o potrebbe essere niente, ma che, dalla profondità del sottobosco romano è letto come un segnale di allarme: dopo decine di udienze a porte aperte, le stesse, ora trovano momenti in cui si procede a porte chiuse. Lontani dai microfoni di Radio Radicale e dai giornalisti presenti.
Chi saranno i prossimi “demoni” a essere estradati nelle patrie galere? Non i luogotenenti del boss napoletano, tutti in cella e tutti “carichi” di anni da scontare. Gli ultimi parenti stretti di Michele Senese? Gli “albanesi” rimasti su strada, che hanno ereditato i “giri” di Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik? I candidati sono tanti, e non per forza di primo livello. La sensazione è che gli investigatori stiano chiudendo il cerchio dentro a un mondo che resiste da anni.
Non abbiamo riscontri da quel lato, abbiamo solo quel rumoreggiare dall’inferno di cemento romano. Che vive e si moltiplica tra i palazzoni anni ‘80, che trova linfa in tutte le strade di Roma. Quel segnale di chi aspetta “orecchio a terra”, i cortei di macchine, con e senza colori istituzionali, arrivare a dama. Un segnale mai così lontano dalla verità. Un segnale per chiudere un ciclo, e aprirne un altro.