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Roma, Slot, empori e pizzo tutti gli affari di Sole Rosso.LA MAFIA CINESE,FRA LE PIU’ SANGUINARIE E PERICOLOSE AL MONDO.SI E’ IMPOSSESSATA DI INTERI QUARTIERI A ROMA,A PRATO ED IN TANTE ALTRE CITTA’

La Repubblica, 20 gennaio 2018

Roma, Slot, empori e pizzo tutti gli affari di Sole Rosso
Ecco gli affari della mafia cinese nella capitale: dalla contraffazione al riciclaggio, dai sequestri lampo alla richiesta di pizzo

di FEDERICA ANGELI

Lanterne rosse e sale slot. Empori mirabolanti usati come lavanderie per spedire fiumi di denaro in Cina e laboratori-formicai per la contraffazione di marchi dove spremere energie di lavoratori costretti a turni di lavoro massacranti. La mafia cinese a Roma oggi si presenta così. In giacca e cravatta e con la Ferrari all’Hilton per festeggiare le nozze del fratello pagando con 77mila euro in contanti. Ha il volto di Zhang Naizhong, il capo dei capi di Prato,con base in viale Marconi a Roma, arrestato qualche giorno fa dalla polizia, che ha intercettato le sue telefonate mentre si vantava coi gregari «sono il più potente d’Europa» e ricattava con estorsioni e violenze chi non si piegava al suo volere.

Una mafia Conciliante con la criminalità organizzata capitolina al punto da a offrire teste di legno soprattutto nel business delle sale scommesse. E spietata con i suoi soldati per l’ingordigia di accumulare capitali da inviare, in gran parte, nella terra d’origine e portare avanti affari lì, e in una piccola percentuale da reinvestire qui.
La fotografia di una Triade che ha tutti i connotati delle mafie imprenditoriali, il nuovo volto con cui oggi clan e ‘ndrine nostrane si presentano al mondo, e agisce all’ombra del Colosseo secondo schemi consolidati, la restituiscono inchieste, non molte per la verità, che le forze dell’ordine hanno portato avanti a Roma nell’ultimo decennio.

La mappa delle bande è molto diversa da quella che era una quindicina di anni fa. A Roma squadra mobile e nucleo operativo di via In Selci ricostruirono il crimine di Sole Rosso, così si chiamava la filiale delle Triadi cinesi che aveva stabilito solide basi operative in Italia e nella capitale, con enorme difficoltà. L’omertà dei picciotti dagli occhi a mandorla e l’impenetrabilità dei clan, dovuta alla scarsa presenza di traduttori disposti a lavorare per la procura e a tradurre dialoghi a volte perché incapaci di comprendere uno dei tanti dialetti asiatici con cui comunicavano capi e gregari, rallentava e di molto le operazioni.

A Roma, Sole Rosso, ricostruirono gli investigatori, era diviso in tre sottoclan: “Alleanza orientale del Quan Tien”, “Testa di Tigre” e “Uccello Paradiso”. I rituali interni erano spietati: una delle prove di coraggio più frequenti per il passaggio di grado era l’automutilazione di una falange. Le dita mozze venivano ostentate come medaglie. False griffe, racket dei clandestini, tangenti imposte col terrore ai commercianti cinesi ma soprattutto sequestri lampo. Questo era il business milionario della Triade.

In due distinti blitz riuscirono i poliziotti a risalire a nove componenti della gang Sole Rosso, al Portonaccio, grazie a tatuaggi a forma di triangolo sul dorso della mano, bruciature di sigaretta sugli avambracci, e la falange di un dito mozzata con un coltello e sutura artigianale della ferita. Qualche anno dopo, nel 2003, i carabinieri sventarono il rapimento di un commerciante dell’Esquilino che non voleva pagare il pizzo ai boss di una Tong, l’equivalente di una cosca. Per lui i sette orientali finiti in manette a cui sequestrarono un arsenale incredibile di armi, avevano già preparato la prigione, un seminterrato alla Marranella. L’invalicabile confine linguistico, grazie a numerosi immigrati di seconda generazione che nella Chinatown dell’Esquilino sono nati e cresciuti, è stato poi superato.

Ma il silenzio, prezioso ad ogni mafia, in cui la Triade ha agito, ha permesso di perfezionare business e modalità del crimine. Che oggi ha superato persino quei riti di iniziazione che almeno erano un tratto distintivo e di riconoscibilità per gli investigatori. Ma quali sono i business che gestisce attualmente la malavita cinese a Roma? Sostanzialmente, in autonomia, sono due: il mercato della contraffazione e il riciclaggio di danaro provento sia di droga sia di prodotti d’abbigliamento immessi nel mercato e provenienti dalla Cina. Balle con dentro miliardi di panni “accartocciati” e stipati in container che sbarcano a Prato e arrivano nella capitale attraverso tir, dopo essere stati stirati. È nella provincia toscana che avviene la prima contraffazione: le etichette made in China sono sostituite da quelle made in Italy. Poi, come ha dimostrato l’operazione Sunset nel 2015 portata a dama dai militari della guardia di finanza del gruppo di Ostia, quella merce viene scaricata nel grandissimo centro commerciale — Commercity — di Fiumicino e lì si opera la seconda contraffazione. Etichette di cartone col marchio made in Italy vengono applicate ai capi già ritoccati dai connazionali di Prato.

Con “Sunset”, 35 imprenditori orientali che lavoravano con queste modalità a Commercity sono stati denunciati per ricettazione e vendita di prodotti industriali con segni mendaci. Una delle donne dell’organizzazione arrivava a lavorare con la Porsche Cayenne. «Quando scendeva — ricordano gli investigatori che eseguirono quell’operazione — chiudeva lo sportello col piede. Segno che il lusso per loro era considerato un optional per quanti soldi avevano». I ricavi di quel business ammontavano a 44 milioni di euro e siccome nulla era stato dichiarato al fisco, le 14 società hanno evaso dodici milioni di euro. Le fiamme gialle sequestrarono 25 unità immobiliari — per un valore complessivo di oltre 5 milioni e 500 mila euro — 10 autovetture di lusso (oltre alla Porsche, Bmw e Mercedes), 135 rapporti bancari e cassette di sicurezza, 3 milioni di capi di abbigliamento ed oltre 1 milione e 300 mila pezzi di accessori.

(1. continua)