Vincere il Superenalotto? Una vera tragedia. E non per la difficoltà nel gestire un patrimonio tanto grande, ma per il rischio di essere presi di mira dai boss della Camorra.
E’ il caso di trenta abitanti di Ospedaletto d’Alpinolo, provincia di Avellino, che nel gennaio 2008 avevano azzeccato un sistema che ha fruttato un ‘sei’ da 36 milioni di euro. Soldi che hanno fatto gola al clan Cava-Genovese di Quindici che ha rintracciato i vincitori pretendendo da loro una sorta di pizzo.
A raccontare la faccenda, con alcuni dettagli sulle ‘modalità di riscossione’ è Roberto Saviano sulle pagine di Repubblica: ‘Ogni vincitore fu cercato casa per casa, avvicinato e costretto a versare una fetta della vincita. Immediatamente’.
‘Se arrivano sul territorio ben 36milioni di euro – racconta Saviano – devono essere rintracciati e i possessori devono versare la loro quota. È legge. Una percentuale deve andare al clan per essere distribuita tra tutti gli affiliati in carcere che nella logica camorrista stanno patendo per tutti. E quindi devono avere la fetta legittima‘.
‘Richieste insolite che venivano fatte dagli appartenenti alle organizzazioni mostravano agli inquirenti che stavano organizzando un business insolito. Che poi si è scoperto essere il Superenalotto. È interessante vedere che questa estorsione è stata considerata il passaggio alla maturità del figlio del boss Modestino Genovese. […] Le organizzazioni usano moltissimo il flusso di danaro dei vari giochi, Superenalotto, Lotto, Gratta e Vinci. Per loro è un modo per poter giustificare guadagni illegali in caso di accertamenti fiscali o in caso di indagini‘.
Saviano racconta di come anche la ‘ndrangheta si occupò di Superenalotto: ‘Nel 2003 a Gioiosa Jonica il clan della zona convinse il titolare di una vincita da 5+1 dell’importo di otto milioni di euro a vendere la ricevuta della vincita. Il boss che aveva architettato la compravendita del tagliando vincente era Nicola Lucà, secondo gli inquirenti a capo di un clan specializzato nell’importazione di cocaina dalla Colombia. La scheda vincente avrebbe consentito di giustificare la provenienza di otto milioni di euro e la successiva utilizzazione di quel denaro‘.
Dalla riscossione di vincita alla creazione di veri e propri giochi clandestini: ‘I clan, vedendo il mercato così florido, hanno tentato di costruire un loro Gratta e Vinci. Hanno cercato di invadere di Gratta e Vinci di loro produzione propria l’intera Campania. Meccanismo scoperto per puro caso dalla Guardia di Finanza. Per eludere la normativa prevista per le lotterie istantanee, prerogativa esclusiva dello Stato, avevano allegato ai Gratta e Vinci anche delle cartoline, il cui acquisto serviva a mascherare la vendita fittizia dei tagliandi. I nomi di queste cartoline avevano scelto anche una grafica e nomi che riprendevano trasmissioni o pubblicità: ‘Vot’Antonio’, ‘Vinci’, ‘Scuola Guida’, ‘Che tempo fa’, ‘Circus’, ‘Avanti Tutta’, ‘Chissa se’. E l’organizzazione aveva pianificato tutto nei minimi dettagli. Aveva anche fatto comunicazione al Ministero delle Attività Produttive, scorciatoia per dare una forma legale all’iniziativa‘.
Amara la conclusione di Saviano: ‘Tornano alla mente i vecchi processi, quelli che ti raccontavano i vecchi fuori ai bar e il solito dialogo tra giudice e boss: Signor giudice voi mi accusate per i soldi che ho guadagnato, ma chi gioca non vince e noi camorristi invece giochiamo sempre. E quindi vinciamo‘.
(Tratto da Excite)