Scarpinato: ”Il rapporto ‘Oceano’ non restò nei cassetti”
Giorgio Bongiovanni 20 Luglio 2021
Ennesimo errore della mediocre Commissione regionale antimafia di Fava
“Un dossier dimenticato”. E’ così che la Commissione regionale Antimafia presieduta da Claudio Fava, che nei giorni scorsi ha depositato una relazione sul nuovo lavoro d’indagine sulla strage di via d’Amelio, ha definito il rapporto “Oceano”, stilato dalla Dia nel 1994.
Un documento di 70 pagine in cui venivano anticipati diversi elementi importanti sulla fase esecutiva delle stragi, in cui si parlava di Pietro Rampulla, di Paolo Bellini e di Antonino Gioè, ma soprattutto si faceva riferimento a Licio Gelli e una parte della massoneria italiana, appoggiati da settori dei servizi segreti e da “ambienti imprenditoriali e finanziari” nel contesto di progettazione degli attentati.
A dimostrare che Cosa nostra non era sola nell’esecuzione delle stragi, anzi fu in qualche maniera spinta da altre forze.
Peccato che quel documento non sia stato affatto dimenticato o ignorato dalle Procure. Tutt’altro. Fu fonte preziosa per inchieste importanti poi scaturite in processi come quello sulla trattativa Stato-mafia o, con ancor più forza, quello calabrese ‘Ndrangheta stragista.
Si tratta dell’ennesimo errore di una Commissione regionale antimafia che appare sempre più mediocre nelle sue analisi. Perché dimostra in maniera evidente di non conoscere atti ed inchieste, seguendo un pensiero logico del tutto personale.
“È stato il procuratore generale Roberto Scarpinato – spiega la relazione – a citare alla commissione un rapporto della Dia in cui si delineava il quadro “economico politico finanziario” delle stragi. Rapporto inviato a quattro procure, ma mai utilizzato nelle decine di inchieste che si sono succedute”.
Oggi a La Repubblica è proprio il Procuratore generale Scarpinato a smentire le parole di Fava & company.
“Non è affatto rimasto nei cassetti il rapporto ‘Oceano’ della Dia, che nel 1994 delineava un possibile scenario dei mandanti delle stragi, coinvolgendo Licio Gelli, servizi segreti deviati, pezzi della destra eversiva e ambienti imprenditoriali. Quel rapporto lo sviluppai, ma poi io e i miei colleghi non fummo messi in condizione di continuare a lavorare” ha detto il magistrato al collega Salvo Palazzolo.
“Da quel rapporto – ha aggiunto – è nata la mega inchiesta ‘Sistemi criminali’, con l’iscrizione di Licio Gelli, Stefano Delle Chiaie ed altri tredici indagati, tra cui anche personaggi indicati come appartenenti a Gladio, per il reato di cui all’articolo 270 bis del codice penale, associazione con finalità di eversione dell’ordine democratico. Inchiesta durata diversi anni”.
Scarpinato ha ricostruito gli elementi che erano emersi nell’indagine scaturita dal rapporto “Oceano”, evidenziando l’esistenza di un “complesso piano politico che si celava dietro le stragi del 1992 e del 1993 nell’ambito del quale alla mafia era stato delegato il compito di svolgere il ruolo di braccio armato”. “Nel 1996 – ha ricordato Scarpinato – scrissi una prima bozza di 600 pagine che sottoposi all’allora procuratore Caselli, era il progetto di indagine. Il dossier si intitolava ‘Il sistema criminale alla conquista dello Stato’. Lo avevo elaborato proprio prendendo spunto dall’informativa della Dia e acquisendo atti da tante procure”.
Scarpinato li nomina uno dietro l’altro: da quelli sui rapporti tra la Lega nord e la Lega sud, il coinvolgimento di soggetti americani e il ruolo dell’ideologo della Lega Gianfranco Miglio agli atti di Bologna sulla strage del 2 agosto 1980. E poi ancora i fascicoli sulla Falange Armata, sulla morte in carcere di Antonino Gioè, su Gladio, e quelle sulla massoneria del procuratore Cordova. Non solo. In quell’inchiesta i magistrati di Palermo sentirono decine e decine di collaboratori di giustizia.
“Contro quella inchiesta che faceva paura – ha aggiunto Scarpinato nell’intervista – si schierarono occultamente in tanti. Quando fummo costretti ad archiviarla riassumemmo in 120 pagine quello che avevamo accertato sul piano stragista, le sue finalità e le sue menti politiche. Dopo la scadenza dei termini l’allora procuratore Piero Grasso sollecitò più volte la richiesta di archiviazione promettendo che avremmo riaperto altri filoni e che avremmo potuto partecipare alle riunioni alla Direzione nazionale antimafia sulle stragi. Ma nessuna di queste promesse fu mantenuta. A me, Ingroia e Lo Forte fu preclusa la partecipazione alle riunioni della Dna”.
Il magistrato palermitano ha poi evidenziato come gli atti di Sistemi criminali siano confluiti nel procedimento reggino ‘Ndrangheta stragista, che ha visto imputati Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, condannati entrambi all’ergastolo un anno fa. Un processo giunto già al suo secondo grado di giudizio con l’appello che è iniziato il 6 luglio. Nelle motivazioni della sentenza, così come ha ricordato Scarpinato, la Corte d’assise ha citato amplissimi brani della nostra richiesta di archiviazione definendo testualmente ‘preziosa’ quella indagine”. Una prova diretta che quell’informativa non è stata affatto dimenticata o nascosta nei cassetti. E’ altrettanto noto che diversi atti di quell’indagine siano confluiti anche nel processo trattativa Stato-mafia, che ha portato alla condanna dei boss, di uomini delle istituzioni e politici, dove si è approfondito molto il tema della falange armata, come sigla utilizzata per rivendicare diversi atti ai tempi delle stragi.
Ma come abbiamo detto ieri, evidenziando i gravi errori e le scorrettezze compiute nella relazione contro il magistrato Nino Di Matteo il tema della trattativa Stato-mafia non interessa in alcun modo.
Forse la Commissione farebbe meglio ad occuparsi dell’Oceano di strafalcioni che sta compiendo nelle sue analisi. Abbiamo sempre pensato che dietro ad essi potesse esservi un fine politico. Vista l’insistenza non vorremmo cambiare idea e pensare che, magari, possa esserci anche altro.