SE NON SI CHIARISCE IL RUOLO DI QUELL’AREA GRIGIA COMPOSTA DA PEZZI DEVIATI DELLO STATO,IMPRENDITORIA MALATA,CRIMINALITA’ E POLITICA , A LATINA NON SI REALIZZERA’ MAI NULLA DI BUONO.
ALCUNI SENATORI E PARLAMENTARI IN QUESTE ULTIME SETTIMANE HANNO INCENTRATO LA LORO ATTENZIONE SULLA PROBABILE ESISTENZA DI UNA SORTA DI “LOBBY” NELLA QUALE CI SAREBBERO UOMINI DELLA POLITICA LOCALE E NAZIONALE,EX GENERALI ED ALTRI SOGGETTI CHE OPEREREBBERO PER CONDIZIONARE LA VITA PONTINA.
ANCHE LA SQUADRA MOBILE DI LATINA ,STANDO A QUANTO RIPORTATO DA “IL GIORNALE DI LATINA” IL 24 GIUGNO U.S.,AVREBBE REDATTO UN’INFORMATIVA NELLA QUALE PARLA DI UN’”ZONA GRIGIA “ CHE “RIVELA IN MODO EVIDENTE LA SUA SOLIDA RADICALIZZAZIONE SUL TERRITORIO E CONSISTENZA STRUTTURALE AL PUNTO DA ANNOVERARE AL SUO INTERNO ANCHE APPARTENENTI ALLE FORZE DELL’ORDINE PER OTTENERE INFORMAZIONI CIRCA INTERCETTAZIONI TELEFONICHE O COMUNQUE ATTIVITA’ GIUDIZIARIE A LORO CARICO ,NONCHE’ SOGGETTI AFFINI ALLA POLITICA LOCALE E NAZIONALE”.
ABBIAMO RACCOLTO QUALCHE VOCE CIRCA ALCUNE VISITE NEL SUD PONTINO DI QUALCHE PERSONAGGIO IL CUI NOME E’ STATO FATTO NEL CORSO DEL PROCESSO IN CORSO A PALERMO SULLE PRESUNTE TRATTATIVE MAFIA –STATO.
ECCO,AVENDO, COME DA NOI GIA’ ANNUNCIATO,ALCUNI GIORNALI CAMPANI PARLATO DI “TRATTATIVE “ CHE CI SAREBBERO STATE FRA UOMINI DELLO STATO E DELLA CAMORRA IN “UNA VILLA DI GAETA “,E’ FONDAMENTALE CHE SI CHIARISCA UNA BUONA VOLTA PER SEMPRE IL RUOLO DI QUELLA “ ZONA GRIGIA “ DI CUI PARLA LA MOBILE ( NOI LA CHIAMIAMO,INVECE,STATO –MAFIA ) NELLA VITA PUBBLICA DELLA PROVINCIA DI LATINA E DEL LAZIO.
VOGLIAMO SAPERE,INSOMMA ,SE CI TROVIAMO A CHE FARE,QUANDO PARLIAMO DI LATINA MA ANCHE DEL RESTO DEL LAZIO, CON UN SOLO STATO O CON DUE: LO STATO-STATO E LO STATO-MAFIA.
QUESTO LO PRETENDIAMO PERCHE’ E’ PROPEDEUTICO AD OGNI ULTERIORE DISCORSO SULLA VITA NELLA REGIONE DOV’E’ UBICATA LA CAPITALE D’ITALIA.
Mafia capitale e la palude di Latina: tra omertà e minacce, indagare non si può
Mafie
Minacce ai pm, fughe di notizie e decreti di intercettazione appena attivate in mano a chi non doveva averle. Il procuratore aggiunto di Roma: “Senza registrazioni telefoniche e ambientali non riusciamo a fare inchieste sulle organizzazioni mafiose”
di Andrea Palladino | 13 dicembre 2014
Più informazioni su: Cassazione, Giornalisti, Giuseppe Pignatone, Latina, Mafia Capitale, Roma
Lo sguardo dei due poliziotti all’ingresso della prefettura diLatina improvvisamente si irrigidisce. Claudio Fazzone – il senatore divenuto famoso per aver difeso la sua città natale Fondidallo scioglimento per mafia – entra senza guardarsi attorno. Questo è il palazzo da dove partì la commissione d’accesso che andò a verificare l’operato della giunta retta dal suo amico e socioLuigi Parisella, tra il 2008 e il 2009. E questo era l’ufficio dove sedeva Bruno Frattasi, il prefetto che chiese a Maroni di mandare a casa il consiglio comunale fondano, con il sospetto di essere stato troppo tenero con i clan di ‘ndrangheta e camorra. Oggi il senatore Fazzone varca la soglia con un ruolo inaspettato: componente della commissione parlamentare antimafia, arrivata a Latina per capire quanto forte sia il peso della criminalità organizzata a sud di Roma. Presenza, la sua, sorprendente, visto che fino a ieri a palazzo San Macuto non si era fatto mai vedere.
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Latina è da decenni un pezzo dello scacchiere delle mafie, dove ‘ndrangheta, Cosa Nostra e camorra si spartiscono affari, pezzi di territorio, conquista del litorale, logistica: “Una presenza ormai radicata e strutturata” avevano spiegato il procuratore della Dda di Roma Giuseppe Pignatone e il suo aggiuntoMichele Prestipino, dopo aver a lungo raccontato l’inchiesta diMafia Capitale, basando le parole sui tanti fascicoli accumulati dall’antimafia da più di un decennio. Processi che hanno visto imputati – poi condannati – gente del calibro di Zagaria, o i fratelli Tripodo, figli del mammasantissima di Reggio Calabria don Mico, nome storico delle cosche del sud, ucciso nel carcere diPoggio Reale negli anni ’70.
Su una cosa Fazzone non ha dubbi: “Il consiglio comunale di Roma va sciolto per infiltrazione mafiosa”, racconta ai giornalisti a margine della audizioni che la commissione parlamentare ha tenuto oggi. In tanti si guardano negli occhi: “A Fondi era differente – aggiunge, intuendo il paradosso delle sue parole – lì non c’era un solo consigliere comunale condannato, solo un assessore finito nell’inchiesta per problemi personali. Qui le mafie non sono strutturate – spiega – la presenza è la conseguenza di qualche personaggio arrivato da fuori. Non generalizziamo, ne va di mezzo l’economia del territorio”. Una realtà ben lontana da quella disegnata dagli ufficiali che nel 2008 analizzarono le carte del comune del sud pontino, sottolineando in rosso gare d’appalto, procedure extra ordinem, amicizie sospette. Se Roma brucia, Latina per il momento sonnecchia.
Dietro l’aria di festa natalizia che già si respira nelle strade c’è ungiudice minacciato pesantemente, con due manifesti funebri appesi davanti alla scuola delle figlie. Si chiama Lucia Aiello, e fu lei a presiedere la sezione penale che giudicò i mafiosi di Fondi. La commissione parlamentare antimafia l’ha convocata per ascoltare il suo racconto, che viene definito “toccante e intenso”. Uscendo dalla sala della prefettura di Latina spiega di aver ricordato il clima pesante che viveva quando doveva giudicare i fratelli Tripodo di Fondi, poi condannati fino in Cassazione per mafia. Sensazioni che difficilmente può dimenticare, che si mescolano con l’immagine di quei due manifesti funebri che una mano ignota le ha dedicato poco meno di un mese fa. Poi tocca al procuratore Andrea De Gasperis, al presidente del Tribunale e ai comandanti delle forze dell’ordine. Cosa hanno raccontato? “Non chiediamo dettagli sulle indagini in corso, neanche in seduta segreta – spiega il capogruppo del M5s in commissione antimafia Francesco D’Uva – perché c’è sempre il rischio che tra i 50 parlamentari commissari vi possa essere qualcuno che poi riferisca le notizie riservate”. Insomma, non si sa mai, di questi tempi meglio non fidarsi. E a Latina certe prudenze assumono un certo peso.
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Il giorno prima della missione e delle audizioni nella capitale pontina è stato il procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino a spiegare alla commissione come sia difficile fareindagini antimafia da queste parti. “Vi racconto un episodio significativo”, aveva esordito, chiedendo apertamente di nonsecretare il suo racconto. Una storia apparentemente strampalata di spioni e ricatti, ma che bene descrive la palude pontina in fondo mai bonificata del tutto. “Tempo fa un signore querela una persona per molestie. Un fatto banale – ha esordito il magistrato romano – che alla fine termina con una remissione di querela”. I due, però, continuano ad avere screzi e decidono di incontrarsi a Roma per risolvere la questione. La vittima della molestia si presenta con un giubbotto antiproiettile. L’altro si allarma, chiama i carabinieri che lo perquisiscono. E qui c’è una sorpresa degna di una spy story: “I carabinieri trovano addosso all’uomo alcuni decreti d’intercettazione appena attivate, proprio su Latina”, ha raccontato Prestipino davanti a commissari decisamente sorpresi.
Atti d’indagine della Dda di Roma coperti da segreto. La giustificazione è ancora più sorprendente: “Sono un collaboratore dei servizi di sicurezza – ha raccontato l’uomo, un romano, titolare di una società di security a Londra, ma ben noto nella capitale – e ho avuto un incarico da chi si occupa di intercettazioni a Latina”. Peccato che la Ddanon ne sapesse nulla. Alla fine alcuni titolari della ditta incaricata di eseguire quelle delicate attività tecniche d’indagine sono stati indagati. “Capite come è difficile fare indagini a Latina? – ha commentato il magistrato romano – Senza intercettazioni non riusciamo a fare indagini per mafia”. Non è chiaro al momento se questa storia – divenuta pubblica in questi giorni – sia ascrivibile ad una semplice leggerezza. E, soprattutto, non è chiaro il profilo di Molayem, che sosteneva di lavorare perfino per il Mossad. Se Mafia Capitale vuol dire politica, affari e metodo mafioso, la palude pontina aggiunge un altro elemento al quadro. E’ il silenzio. Tra i coloni veneti che qui arrivarono negli anni ’30 si dice spesso “magna e tasi”, mangia e stai zitto. Qui in fondo le mafie investono e a guadagnarci sono in tanti. Forse troppi.
Michele Prestipino, procuratore aggiunto a Roma e titolare dell’inchiesta “Mafia capitale”, ha raccontato in Commissione antimafia un episodio al limite dell’incredibile che riguarda Latina.
In seguito a una banale denuncia un uomo è stato perquisito a Roma. Il soggetto indossava un giubbotto antiproiettile, sotto al quale nascondeva una chiavetta usb contenente un decreto del Gip di autorizzazione per effettuare alcune intercettazioni nell’ambito di un’inchiesta sulla mafia.
L’uomo aveva addirittura i primi brogliacci di un’attività investigativa ancora in corso, iniziata da poco e affidata alla DDA di Roma. Aveva anche un finto tesserino del Mossad e di un’azienda inglese che si occupa di intercettazioni telefoniche. Dagli approfondimenti è emerso anche di peggio: questa persona lavorava per una ditta che si occupava di moltissime intercettazioni telefoniche nella zona di Latina. Una sorta di subappalto che coinvolge evidentemente persone non integre, né affidabili.
Un caso gravissimo che, secondo Prestipino, non è assolutamente isolato, tanto che è possibile ipotizzare che molte intercettazioni vengano – dopo alcuni giorni – in qualche modo sottoposte ai diretti interessati, vanificandone l’utilità.
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