QUANDO NOI DELL’ASSOCIAZIONE CAPONNETTO SOSTENIAMO CHE L’INFORMAZIONE ANTIMAFIA DEVE ESSERE SELETTIVA,COMPLETA E MIRATA E NON AFFIDATA,COME AVVIENE,AL PRIMO ARRIVATO CHE NON SA COME VANNO LE COSE E SI IMPROVVISA COME UN ……….”PALADINO DELL’ANTIMAFIA “………….
C’é un problema sul quale noi stiamo insistendo da anni e che riguarda il ruolo affidato ai Prefetti in materia di prevenzione antimafia.
E ce n’é un secondo,taciuto da quasi tutti,che riguarda l’avvenuta esclusione dei rappresentanti delle forze dell’ordine dalle Commissioni di accesso.
E’ inutile ripetere che i Prefetti,fatta qualche rarissima eccezione,non assolvono affatto ai loro obblighi in materia e le numerose inchieste giudiziarie che da anni si vanno conducendo nello Stivale lo stanno a provare abbondantemente.
Anche la decisione assunta di escludere dalle Commissioni di accesso agli atti i rappresentanti delle forze dell’ordine per limitarle a funzionari o comunque soggetti che non dispongono di alcun supporto infoinvestigativo é la prova provata che i governi e la politica,al di là delle chiacchiere e delle enunciazioni di principi,non intendono assolutamente fare la lotta alle mafie.
Mafie che si annidano per lo più proprio nella politica e nelle istituzioni e che si vedono così garantita un’impunità sfacciata.
Quello che sconcerta é il silenzio completo su queste tematiche di tutta la politica,non solo di quella notoriamente corrotta e collusa ma anche di quella che dice di essere sana e di voler combattere contro le mafie che si stanno mangiando il Paese.
Noi abbiamo proposto delle soluzioni e le abbiamo anche esposte non solo attraverso i nostri canali di informazione ma anche de visu a qualche gruppo parlamentare.
Finora,però,silenzio,il più assoluto silenzio.
Riteniamo utile,pertanto,ripubblicare una nota vecchia apparsa sul nostro sito.
Un altro cavallo di battaglia per il nuovo anno:
“Sottrarre subito ai Prefetti le competenze in materia di prevenzione antimafia
Pubblicato 20 Luglio 2015 | Da admin3
LA RECENTE RICHIESTA DELLA PROCURA DI REGGIO CALABRIA DI RINVIARE A PROCESSO IL PREFETTO DI QUELLA CITTA’ PER NON AVER OTTEMPERATO AI SUOI DOVERI IN MATERIA DI VIGILANZA SULLA GESTIONE DEI RIFIUTI RIPROPONE CON FORZA IL PROBLEMA DA TEMPO SOLLEVATO DALL’ASSOCIAZIONE CAPONNETTO DEI POTERI AFFIDATI AI PREFETTI RIGUARDO ALLA PREVENZIONE ANTIMAFIA.
E’ NECESSARIO SOTTRARRE AI PREFETTI QUEI POTERI PER TRASFERIRLI ALLE DIREZIONI DISTRETTUALI ANTIMAFIA.
Il ruolo dei Prefetti. Urge cambiare la legge
HANNO PERFINO DEPOTENZIATO LE COMMISSIONI DI ACCESSO CON L’ESTROMISSIONE DA ESSE DEI RAPPRESENTANTI DELLE FORZE DELL’ORDINE
Pubblicato 3 Ottobre 2014 sul sito web dell’Associazione Caponnetto www.comitato-antimafia-lt.org
INVITIAMO ISCRITTI E SIMPATIZZANTI DELL’ASSOCIAZIONE CAPONNETTO E NON SOLO A DEDICARE DA ORA IN AVANTI UN’ATTENZIONE PARTICOLARE ALL’AZIONE CHE I PREFETTI HANNO IL DOVERE DI SVOLGERE IN MATERIA DI LOTTA ALLA CRIMINALITA’ MAFIOSA
RIPRODUCIAMO, PERTANTO, UN ARTICOLO PUBBLICATO TEMPO FA SUL SITO WEB E SULLE PAGINE FACEBOOK DELL’ ASSOCIAZIONE CAPONNETTO PER RIPROPORRE ALCUNE NOSTRE CONSIDERAZIONI, SUGGERIMENTI ED ANCHE CRITICHE SUL RUOLO DEI PREFETTI NEL PAESE E SULL’URGENTE NECESSITA’ DI CAMBIARE LA LEGGE APPORTANDOVI QUELLE MODIFICHE E QUELLE INEGRAZIONI NECESSARIE PER RENDERE PIU’ EFFICACE ED INCISIVA L’AZIONE CONTRO LA CORRUZIONE E LE MAFIE.
L’ENORME POTERE CONFERITO FINORA AI PREFETTI NON E’ BASTATO A COLMARE TUTTE QUELLE DEFICIENZE E QUELLE
STORTURE CHE SPESSO NON HANNO DATO PER NIENTE LUSTRO ALL’ISTITUZIONE.
FATTA QUALCHE ECCEZIONE, INFATTI, LA MAGGIOR PARTE DEI PREFETTI HA MOSTRATO DI NON ESSERE – O, PEGGIO, DI NON VOLER ESSERE – IN GRADO DI ADEMPIERE APPIENO AI DOVERI CHE LA LEGGE IMPONE AD ESSI.
CI RIFERIAMO, IN PARTICOLARE, AL MANCATO SVOLGIMENTO DELLE FUNZIONI DI VIGILANZA PREVENTIVA IN MATERIA DI CONTRASTO DELLA CRIMINALITA’.
IL PREFETTO, COM’E’ NOTO, HA LA POSSIBILITA’ DI EMETTERE PROVVEDIMENTI INTERDITTIVI SULLA BASE DI SEMPLICI INFORMATIVE DELLE FORZE DELL’ORDINE E SENZA ATTENDERE LE SENTENZE DELLA MAGISTRATURA E DI IMPEDIRE, COSI’, PRIMA CHE ESSO AVVENGA, L’INSERIMENTO DELLA CRIMINALITA’ MAFIOSA NELL’ECONOMIA, NELLE ISTITUZIONI E NELLA POLITICA.
DITECI VOI QUANTE “INTERDITTIVE ANTIMAFIA” HANNO EMESSO ED EMETTONO I PREFETTI DELLE VOSTRE PROVINCE A CARICO DI IMPRESE SOSPETTE E QUALE AZIONE DI PREVENZIONE LA MAGGIOR PARTE DI ESSI ABBIANO SVOLTO SUL VERSANTE DELLA LOTTA ALLE MAFIE, COORDINANDO LE FORZE DELL’ORDINE, DANDO AD ESSE DEGLI INPUT IN MATERIA DI METODOLOGIE DI AZIONE, STIMOLANDOLE AD AGIRE PIU’ CHE
CON UN’OTTICA DA ” ORDINE PUBBLICO”, COME NORMALMENTE AVVIENE, CON UNA, INVECE, PIU’ MODERNA ED ADEGUATA ALLA REALTA’ ATTUALE CHE VEDE LA MAFIA COME UN SOGGETTO IMPRENDITORE.
LA RIPUBBLICAZIONE DI QUESTO NOSTRO DOCUMENTO DEVE SERVIRE AD INDURRE TUTTI I NOSTRI ISCRITTI ED I SIMPATIZZANTI – ED ANCHE ALTRI DI ALTRE ASSOCIAZIONI ANTIMAFIA- AD INCENTRARE LA LORO ATTENZIONE SUI TEMI REALI DELLA LOTTA ALLE MAFIE, REALIZZANDO UN SALTO DI QUALITA’ CON L’ABBANDONO DI QUELLA PRASSI CHE VEDE MOLTI PIU’ PROPENSI A PARLARE DI TEMI GENERICI, NARRATIVI, COMMEMORATIVI, CHE NON, COME E’ NECESSARIO, PRATICI, ATTUALI ED OPERATIVI.
Il fenomeno del condizionamento delle istituzioni e degli Enti locali. Si deve cambiare subito la legge sul ruolo dei Prefetti Pubblicato 5 Agosto 2014 | Da admin2. L’ASSOCIAZIONE CAPONNETTO PUBBLICA QUESTA NOTA AL FINE DI AVVIARE NEL PAESE UN’ APPROFONDITA RIFLESSIONE SUL RUOLO DEI PREFETTI SUL VERSANTE DELLA LOTTA ALLE MAFIE E SULL’URGENTE NECESSITA’ DI UNA MODIFICA DELLA LEGISLAZIONE IN MATERIA. NON E’ POSSIBILE PARLARE SERIAMENTE DI LOTTA ALLE MAFIE PERPETUANDO L’ATTUALE STATO DELLE COSE. Il fenomeno del condizionamento delle istituzioni e degli Enti locali –Il degrado delle Istituzioni I recenti eventi giudiziari che hanno coinvolto due ex ministri dell’Interno (Scajola e Cancellieri) per fatti di rilevante gravità nonché i recenti arresti di prefetti (Blasco, La Motta, Ferrigno) e l’incriminazione di ex Prefetti (Maria Elena Stasi e Maddaloni entrambi condannati in primo grado) sempre per fatti riferibili ad ambienti della criminalità organizzata o meglio ad ambienti politici contigui alla criminalità organizzata, devono necessariamente indurci a fare una riflessione sul ruolo e sui poteri che la legge assegna all’Amministrazione dell’interno nella lotta alla criminalità organizzata. Ovviamente occorre doverosamente sottolineare che l’amministrazione dell’Interno registra la presenza di una stragrande maggioranza di persone che dedicano la loro vita lavorativa e in molti casi anche personale, al servizio esclusivo dello Stato. Proprio per tutelare anche questa categoria di servitori dello Stato e per consentire a questi di poter svolgere con serenità e senza interferenze della politica, le azioni istituzionali di contrasto al crimine organizzato, occorre capire quali siano state le cause che hanno determinato la devianza dell’azione di settori dell’amministrazione dell’interno ad appannaggio degli interessi di contesti socio politico criminale.
Analizzando bene i fatti di cronaca giudiziaria che vedono coinvolti ministri dell’interno e prefetti si capisce subito che nelle vicende stesse hanno un ruolo centrale interessi personali riferibili a politici spesso di rilevo nazionale. Basta citare a solo titolo esemplificativo il caso dell’ex parlamentare Nicola Cosentino ed il recente coinvolgimento dell’ex prefetto Stasi. Infatti i fatti giudiziari in questione rilevano come spesso le contestazioni formulate dalla Magistratura riguardino condotte volte a favorire uomini politici. Basta vedere la vicenda del prefetto Stasi nell’ambito dell’indagine sui distributori di carburanti di proprietà della famiglia Cosentino ovvero la vicende di appalti al comune di Caserta per la quale sono state condannati i prefetto Stati e Maddaloni per interessi riferibili a ditte di Nicola Ferrara, esponente politico regionale dell’UDEUR, oppure la vicenda esaminata nel corso del processo cosentino del mancato scioglimento del consiglio comunale di Mondragone la cui compagine politica era riconducibile all’ex ministro Landolfi ovvero al mancato rilascio del certificato antimafia interdittivo alle ditte ECO Quattro e Aversana Petroli, entrambe riferibili ad interessi della famiglia Cosentino. Appare quindi evidente la correlazione tra condizionamento dell’azione dei Prefetti ed in genere dell’amministrazione dell’Interno con la politica nella quale ampi settori spesso sono contigui ad ambienti della criminalità organizzata (soprattutto nelle regioni meridionali). Ma perché i prefetti si piegano alla Politica ovvero perché sono condizionati dalla stessa? Prima di rispondere a questa domanda vediamo chi sono e cosa fanno i prefetti. Il prefetto è il massimo organo amministrativo periferico, terminale politico-operativo dell’apparato della sicurezza, agente elettorale del governo, motore della vita economica e sociale della provincia, tutore dell’ente locale. Il prefetto ha una posizione di eminenza del Prefetto rispetto alle altre cariche amministrative periferiche in virtù del riconoscimento della rappresentanza dell’esecutivo nella provincia e, conseguentemente, il carattere tendenzialmente “generale” del campo delle attribuzioni. L’art.2 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (t. u. l. p. s. ), concede un’amplissima facoltà al Prefetto di adottare atti contingibili e urgenti per esigenze di sicurezza pubblica. Il Prefetto presiede i Comitati Provinciali della Pubblica Amministrazione e dei comitati metropolitani; ha funzioni in materia di droga, scioperi nei servizi pubblici essenziali, antimafia, statistica; della ricostruzione del ruolo del Prefetto rispetto alle autonomie territoriali. Insomma la legge ha conferito ai prefetti poteri enormi. Tra questi è appena il caso di ricordare quelli che esercita attraverso il Comitato provinciale Ordine e sicurezza pubblica, che vede la partecipazione, in posizione di subordinazione funzionale, del Questore e dei Comandanti Provinciali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. E’ proprio nel comitato che si decidono le proposte al consiglio dei ministri degli scioglimenti dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose, le misure di tutela da assegnare ai magistrati, ai cittadini minacciati, ecc. ecc. Gli stessi vertici delle Forze dell’ordine a livello provinciale sono soggetti, ai fine dell’avanzano di carriera, delle valutazioni da parte dei prefetti. Quindi i prefetti sono potenzialmente in grado di incidere sulle figure apicale delle tre forze di polizia e indirettamente sui magistrati esposti a pericoli di attentati o di sicurezza personale, dovendo il prefetto decidere se e a chi assegnare le misure di tutela (vigilanza, scorta, nei sui diversi livelli di gravità, ecc) Ci si renderà conto che il Prefetto, stante la delicatezza dei compiti assentatigli dalla legge e il ruolo centrale nelle vicende più delicate di ordine e sicurezza pubblica, deve svolgere le proprie finzioni nel pieno ed inderogabile rispetto del principio di imparzialità dettato dall’art.97 della nostra carta costituzionale. Il prefetto è posto nelle condizioni di poter esercitare liberamente e fuori da ogni forma di condizionamento le proprie delicatissime funzioni? Per poter rispondere è necessario capire come si articola la carriera prefettizia e come vengono nominati i prefetti e assegnati alle sedi provinciali. La nostra carta costituzionale non prevede, come per l’ordine giudiziario, un organo di autogoverno che possa assicurare l’indipendenza e l’autonomia dei Prefetti. Invero non prevede neppure la figura del prefetto la cui presenza deriva dalla normativa del ventennio fascista.
Invero i prefetti vengono nominati dal Consiglio dei ministri. Sono cioè nominati dalla politica che in un dato momento storico è posta alla presidenza del consiglio dei ministri e ne ha maggioranza politica in seno allo stesso Organo. Quindi, come è agevole, comprendere, i perfetti vengono nominati a secondo della loro contiguità o meglio del gradimento di quella o quell’altra forza politica. Quindi, per esempio, ci troveremo che nel periodo del Governo Berlusconi sono stati nominati prefetti, coloro ritenuti di gradimento di quella forza politica. In genere queste scelte risentono anche delle indicazioni provenienti dai coordinatori regionali. In Campania nel periodo dei governo Berlusconi, per un lungo lasso tempo il ruolo di coordinatore regionale è stato assunto dall’ex parlamentare Nicola Cosentino, oggi sottoposto a processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Insomma l’imparzialità che deve inderogabilmente risiedere alla base delle scelte dei prefetti può inconfutabilmente essere minata da questi meccanismi di nomina che ineludibilmente possono creare momenti di devianza nelle scelte prefettizie. Non è la prima volta che prefetti non allineati alla politica ovvero ad una certa parte di politica deviata, siano stati gravati da provvedimenti dal carattere sanzionatorio. Tutti ricorderanno il prefetto di Reggio Calabria Vittorio Piscitelli che sciolse il consiglio comunale di Reggio e con l’insediameno del Ministro calabrese Alfano è stato repentinamente trasferito altrove. Ovvero il prefetto di Agrigento Fulvio Sodano trasferito dal sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì, quest’ultimo poi incriminato per concorso in associazione mafiosa. Insomma appare improcrastinabile l’esigenza di blindare talune delicate funzioni di ordine e sicurezza pubblica assegnate ai prefetti. Due sono le strade: o si modificano le leggi prevedendo un meccanismo di nomina dei Prefetti attraverso un sistema simile a quello previsto per i magistrati oppure si trasferiscono queste funzioni strategiche per la sicurezza dei cittadini e dei servitori dello stato alla magistratura. Appare inaccettabile che debba essere un funzionario dello stato nominato, prefetto, dalla politica a decidere se un magistrato (che spesso si trova ad indagare politici di rilievo nazionale presenti direttamente o indirettamente nel consiglio dei Ministri) debba o meno avere misure di tutela a fronte di minacce anche potenziali o di esposizioni elevante a rischio attentato. Appare paradossale che debba essere il prefetto, espressione della politica a formulare giudizi e valutazione sul questore e sui Comandati provinciali dell’arma e della g di f. Innegabilmente gli stessi possono per questi giudizi subire una sorta di condizionamento o di timore reverenziale nei confronti del prefetto ogni qual volta si trovano a dover indagare su fatti e vicende che riguardano gli stessi prefetti o politici che hanno espresso gradimento per quello stesso prefetto. O peggio ancora, appare assurdo che debba essere il prefetto a decidere se e quando sottoporre ad indagini antimafia, un consiglio comunale per infiltrazione della criminalità organizzata, quando lo stesso consiglio comunale è dello stesso partito politico che risiede nel Consiglio dei ministri e che quindi potenzialmente può incidere sul prefetto stesso. Non è la prima volta che pur in presenza di evidenti episodi di infiltrazioni della criminalità organizzata non si sia proceduto allo scioglimento delle amministrazione risultate permeabili alla c. o.. (basti citare i casi del Comune di Fondi, del comune di Mondragone, Castellammare di stabia, di torre annunziata, di torre del greco, e di tanti altri comuni). Analoga considerazione vale per il rilascio dei certificati antimafia. Appare assurdo che un imprenditore per poter stipulare contratti con la pubblica amministrazione debba essere sottoposto alla valutazione del prefetto ai fini del rilascio della c. d. liberatoria antimafia. E’ evidente che in siffatto contesto e meccanismo di nomina e rimozione dei prefetti, l’imprenditore che sarà di gradimento della politica di maggioranza e quindi dei prefetti, risulterà immune da problemi di antimafia (vedi il caso della società Aversana petroli dei Fratelli Cosentino, la Eco Quattro di Castel Volturno riferibili agli stessi politici della corrente di Cosentino, alla società dei fratelli Buglione, e tante altre società notoriamente infiltrate dalla criminalità ma che operano indisturbate e di contro ditte che non si sono piegate ai voleri della politica che invece vengono colpite da interdittive antimafia per vicende banali ed insignificanti La democrazia in siffatti condizione è messa a dura prova. La politica sana e la società civile devono farsi carico di indicare le soluzioni. Occorre che in
attesa di una legislazione che garantisca l’imparzialità e l’indipendenza dei funzionari dello stato preposti all’esercizio di delicati compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica e soprattutto nella lotta alla criminalità organizzata, dette funzioni vengano trasferita alla Magistratura che, per effetto dell’autonomia ed indipendenza garantitagli dalla Costituzione possa adottare le decisioni più giuste ed imparziali e scevre da condizionamenti della politica che, come si diceva risente della presenza di ampi settori contigui alla criminalità organizzata. Le implicazioni con la vita politica napoletana costituiscano il punto di partenza storico di un intreccio perverso che ha determinato il consolidarsi del fenomeno dell’infiltrazione e del condizionamento degli Enti locali Nel corso degli anni ottanta, infatti, In Campania tanto per citare un esempio, si è assistito all’espandersi ed al consolidarsi di un fenomeno sociale molto grave che ha messo in luce i diffusi rapporti nell’ambito della gestione della “ cosa pubblica” tra politica, affari e malavita organizzata di tipo mafioso. Il degrado delle Istituzioni a Napoli era tale da indurre il Procuratore Cordova a una denuncia amara ma non disperata: «Lo Stato a Napoli, dice Cordova, è un’entità eventuale, aleatoria, virtuale. Parlo dello Stato ufficiale non di quello reale, l’unico che a Napoli la gente conosce e teme per davvero: la camorra. Le leggi dello Stato sono lente, i processi non finiscono mai e la pena è un evento remoto, prescrivibile, amnistiabile, depenalizzabile. Le leggi della camorra sono ferree e immutabili, semplici e inderogabili, i giudizi si celebrano fulmineamente, e le sentenze sono rapidissime, inappellabili e immediatamente esecutive. È ovvio che i cittadini temono lo stato effettivo, quello camorristico, e non quello ufficiale». La camorra si è trasformata in stato, che ci si trova di fronte ad un vero e proprio fenomeno di banditismo sociale, di neo brigantaggio populista. La fiducia dei cittadini nelle Istituzioni cala di giorno in giorno. Non vi e’ indagine su organizzazioni camorristiche che non riveli preoccupanti fenomeni di penetrazione collusiva nelle istituzioni. Per molti versi, lo Stato sembra corrispondere a modelli ideali di sviluppo degli interessi criminali, anziché« di salvaguardia degli interessi della collettività e delle istituzioni statuali. In estrema sintesi si può quindi affermare che si è di fronte ad un nuovo soggetto che oramai può essere definito Alta Camorra che ha dato prova di non essere più ai margini della società, ma sta conquistando progressivamente – o forse ha già conquistato – i centri dei poteri politico, economico e sociale. Insomma la camorra sta tentando di non porsi in posizione esterna o antitetica, ma di stare ben dentro lo Stato, la politica, la società, l’economia. Insomma la repressione dei delitti e delle illegalità, che è un sacrosanto dovere dovrebbe essere accompagnato da un controllo capillare, da un meticoloso accertamento sulla debolezza istituzionale di fronte alla pressione corruttiva e alle collusioni di gran parte di essa con l’Alta Camorra. In definitiva è condivisibile quanto sostenuto da un noto giornalista che “ I grandi camorristi stanno nell’ombra “. L’intreccio tra criminalità, politica e affari negli enti locali è sicuramente quello maggiormente avvertito dal cittadino comune in quanto gli stessi Enti più di ogni altra istituzione risultano, in considerazione delle funzioni istituzionali cui sono deputati per legge, a stretto contatto con la collettività amministrata. Le indagini condotte dalla magistratura Il primo ed incisivo intervento, che il legislatore ha posto in essere per tutelare gli enti locali dalle ingerenze della criminalità organizzata si è avuto con l’approvazione della Legge 22.7.1991, n.221 che ha introdotto l’art.15 bis della L.55/1990 concernente lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali coinvolti in fenomeni di infiltrazione e di condizionamento mafioso. La stessa norma oggi è confluita nell’art.143 del D. lgt.267/2000 E’ una norma sicuramente di carattere eccezionale, in quanto a prescindere dal giudizio penale, l’amministrazione locale risulta evidentemente inquinata, al punto che nessun’altra misura, al di fuori dello scioglimento, potrebbe risultare idonea al recupero della legalità. Era presente nell’ordinamento un vuoto normativo, che consentiva di fronteggiare queste situazioni, e per riempirlo si era fatto ricorso ad un uso indiretto della potestà di scioglimento dei consigli comunali per motivi di ordine pubblico (si ricorda il caso del comune di Quindici, retto da un esponente apicale di una nota famiglia camorristica, sciolto nel 1983 per motivi di
ordine pubblico dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini. La legislazione speciale antimafia in questione intende, prioritariamente, salvaguardare gli interessi pubblici dalle mire della criminalità organizzata, ancora prima che si vengano a determinare le condizioni oggettive e concrete dell’aggressione a beni giuridicamente protetti. In particolare il procedimento di accertamento scaturente dai poteri previsti e demandati dalla suddetta legislazione ai Prefetti, ovvero alle Commissioni delegate, all’uopo istituite, risponde alla funzione di prevenzione cautelare globale che prescinde, nella sua applicazione, da istituti e concetti dell’ordinamento penale, da cui se ne discosta dichiaratamente. Particolarmente innovativa risulta la disposizione contenuta nell’art.143 del D. lgt.267/2000 che prevede la possibilità che il prefetto, nella fase istruttoria del procedimento di scioglimento, acquisisca dal procuratore della repubblica notizie utili a motivare la decisione, in deroga all’art.329 del codice di procedura penale, superando cioè l’obbligo di segretezza disposto da tale norma con riguardo alle esigenze del procedimento penale. Ma la facoltà più significativa conferita dal legislatore al prefetto per la ricerca di ogni elemento di valutazione utile allo svolgimento dell’azione amministrativa assegnatagli dalla stessa norma scaturisce dal disposto normativo di cui al Decreto legge 354/1991, convertito nella Legge 30.12.1991, n.410 che consente, attraverso poteri investigativi, di verificare se ricorrono pericoli di infiltrazione tipo mafioso nell’ambito dello svolgimento dei “ servizi” cui sono deputati per legge gli enti locali. Nel 2009 con la legge 94, l’art.143 del d. lgs.267/2000 ha subito una modifica che appare aver ridimensionato e affievolito l’azione di contrasto alla criminalità organizzata. Infatti è stato stabilito che le indagini antimafia debbano essere svolta da una commissione composta “ da tre funzionari della pubblica amministrazione. Invero prima dell’entrata in vigore della legge 94/2009 le indagini venivano svolte da organi di polizia che stante le loro specifiche conoscenze e professionalità info-investigative, potevano fornire un contributo determinate al buon esito delle indagini. Invece il legislatore del 2009 ha affidato a tre funzionari della P. A. dette attività di indagini. Ogni commento appare del tutto superfluo. Infatti precedentemente per le operazioni di accesso antimafia nei comuni, i prefetti si avvalevano di apposite commissione composte da rappresentanti di tutte le forze, dell’ordine nonché da un rappresentante della D. I. A. , nonché da funzionari statali appartenenti ad amministrazioni che, nell’ambito delle proprie attività istituzionali, avevano competenza e conoscenza delle attività amministrative cui i comuni sono deputati per legge.”.