Ucciso per essersi ribellato al clan, smantellato il gruppo di fuoco di Marco Di Lauro
Di Stefano Di Bitonto -22 Settembre 2020
Nunzio Talotti, Gennaro Vizzaccaro e Pasquale Spinelli. Sono i nomi dei tre ras raggiunti questa mattina (insieme a Marco Di Lauro) dall’ordinanza di custodia cautelare per l’omicidio di Ciro Maisto. Ras ucciso nell’agosto del 2008 nella villa comunale di Secondigliano. Maisto, secondo la ricostruzione degli inquirenti, aveva messo in discussione la leadership del clan. Gruppo in quel momento retto proprio da ‘F4’. latitante ma presente sul territorio. I vertici del sodalizio hanno deciso, pertanto, di uccidere Maisto pensando che potesse tradirli, aderendo agli “Scissionisti” oppure collaborando con la giustizia. Ad eseguire quel delitto alcuni degli uomini più fedeli del capoclan. Nomi già tirati in ballo da diversi collaboratori di giustizia come Carlo Capasso, ex baby killer al soldo del clan del Terzo Mondo.
Le accuse dell’ex baby killer dei Di Lauro
«Mi risulta personalmente che Marco Di Lauro decise l’omicidio di Nunzio Cangiano, l’omicidio di Eugenio Nardi, l’omicidio di Patrizio De Vitale, l’omicidio di Luigi Giannino ed altri. Lo stesso, nel periodo di latitanza, scendeva all’appartamento di Vizzaccaro o a quello di Lucarelli, decideva l’omicidio e ci mandava a chiamare per commetterlo. Ricordo che nel 2008 Marco Di Lauro scese di persona per commettere l’omicidio di tale “’o pisano”. Affiliato agli scissionisti che ci era stato detto aver organizzato una cerimonia, forse un battesimo al figlio, in un locale a Casavatore. Detto omicidio non venne più fatto, ma non ricordo con precisione le motivazioni. Ricordo che Pasquale Spinelli, con un binocolo, si mise sul cimitero di Secondigliano a visionare detto locale al fine di localizzare “’o pisano” che ora ricordo chiamarsi Rito Calzone. Eravamo pronti per commettere detto omicidio il solito gruppo di fuoco composto da me, Raffaele Musolino, Antonello Faiello, Gennaro Vizzaccaro e Nunzio Talotti».
La storia della ‘batteria dei ninnilli’
La batteria dei ‘ninnilli’. Era questo il soprannome sprezzante che gli Scissionisti utilizzavano per indicare gli uomini, o meglio i giovanissimi killer del clan Di Lauro. Era l’epoca della prima faida di Secondigliano e Scampia, il punto di non ritorno per la camorra dell’area nord. Quella stagione è stata ‘raccontata’ ai magistrati da Carlo Capasso, all’epoca 14enne che dai campetti di calcio passò a calpestare i cadaveri dei nemici. «Sono entrato nel clan Di Lauro nel 2003 perché conoscevo Marco Di Lauro ho iniziato come addetto alla vendita di droga». Iniziò così il racconto del ragazzo cresciuto a via Cupa dell’Arco. Erano i tempi della faida, quella che ha segnato per sempre le dinamiche e la storia della camorra di Secondigliano e Scampia, quartieri per troppo tempo soffocati dalla cappa marcia della camorra, quella di un clan che ha inventato un nuovo modo di fare business criminale ‘rubando’ le vite di giovanissime trasformandoli in killer senza scrupoli. Come Carlo, poi divenuto collaboratore di giustizia.
Il gruppo di fuoco di Marco Di Lauro
Tutti giovanissimi, tutti cresciuti coi figli del padrino: come Ferdinando Emolo che dopo il duplice omicidio Montanino-Salierno fece un’incursione armata alle Case celesti per mandare un ‘messaggio’ ai nemici. Lo stesso Emolo si vantava con i poliziotti asserendo:«Marco Di Lauro m’è frat». Come Ugo De Lucia, figlio di Lucio storico affiliato del clan, balzato nei mesi scorsi all’onore delle cronache per alcuni permessi premio (fonte Stylo24) ma divenuto famoso come killer di Gelsomina Verde, giovane torturata, seviziata e poi data alle fiamme nella sua auto in viale Agrelli, piccola traversina di Corso Secondigliano. Insieme a loro gente del calibro di Antonio Mennetta, Salvatore Tamburrino, Emanuele D’Ambra, Umberto La Monica, Mario Buono, Salvatore Zimbetti, Luigi Magnetti, Gennaro Vizzaccaro, Nunzio Talotti e Antonello Faiello poi ucciso dagli ex alleati della Vanella Grassi.
Killer assoldati durante le partite di calcetto
«Tutto iniziava con le partite di calcetto – ha dichiarato il collaboratore di giustizia Carmine Cerrato nel corso del processo per la morte di Attilio Romanò – prendeva bravi ragazzi, li avvicinava e li persuadeva. Iniziavano a non andare più a lavorare e frequentavano assiduamente Marco Di Lauro. Quest’ultimo iniziava a stipendiarli e a selezionarli in base al coraggio e alla freddezza. Appena vedeva una predisposizione, lo indirizzava verso l’attività di killer» Una versione, quella di Cerrato, confermata anche dallo stesso Capasso che ha raccontato allo stesso modo la sua affiliazione, a sedici anni, e il suo passaggio nel gruppo di fuoco della cosca.
Fonte:https://internapoli.it/