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Visione nuova, prove solide: la lezione del metodo Falcone

L’Espresso

Visione nuova, prove solide: la lezione del metodo Falcone

di Sergio Mattarella

“Il suo modo di svolgere l’inchiesta era moderno, più dinamico, più attivo di quanto fosse abituale ma manteneva forte e inalterato lo stile e il carattere del magistrato, attento, fino allo scrupolo, alla consistenza degli elementi raccolti”. L’intervento del presidente della Repubblica, pronunciato il 23 maggio 2017, tratto dagli archivi del Quirinale

17 MAGGIO 2022

Ho conosciuto il Giudice Falcone prima ancora che l’eco delle sue inchieste lo rendesse famoso in Italia e all’estero. Ne ho seguito l’impegno messo in opera nella sua attività giudiziaria. Con quella sua attività ha impresso una svolta all’azione della giustizia contro la mafia.

Anzitutto con il suo metodo di lavoro, con il suo modo di svolgere le inchieste. Nei primi tempi veniva talvolta criticato, dicendo che operava come un agente di polizia più che come un magistrato, una sorta di sceriffo. Non era vero: il suo era un metodo moderno, più dinamico, più attivo di quanto fosse abituale ma manteneva forte e inalterato lo stile e il carattere del magistrato, attento, fino allo scrupolo, alla consistenza degli elementi di prova raccolti. Le sue inchieste, difatti, erano contrassegnate da grande solidità; e le sue conclusioni venivano sempre condivise dai Tribunali e dalle Corti giudicanti.

Una seconda svolta l’ha impressa con la scelta, coraggiosa, del maxi processo di Palermo: un’inchiesta, e un’istruttoria, di grande impegno, e faticose; ma che hanno fornito l’indicazione della via da seguire per un’azione efficace dello Stato contro la mafia.
Quel maxi processo è stato un vero e proprio spartiacque.

Lo conoscevo, come ho detto. Non si trattava di un rapporto di frequentazione abituale, ci sentivamo, ogni tanto, e ci incontravamo: a casa mia o nella sua abitazione a Palermo e, negli ultimi tempi, a Roma, in una sua piccola abitazione protetta, vicino al Collegio Romano.

In una di queste occasioni ho potuto toccar con mano quanto fosse forte il suo sodalizio con Paolo Borsellino. Mi sembra sia stato nel novembre del 1990. Il governo aveva appena varato un decreto legge sugli strumenti di lotta alla criminalità organizzata. Il venerdì ne ritirai una della prime copie stampate alla Camera dei deputati e, rientrato a Palermo, chiamai Falcone per chiedergli se volesse leggere quel testo per valutarlo e per poter suggerire qualche modifica o integrazione.

Mi rispose che sarebbe venuto a casa mia nel pomeriggio della domenica chiedendomi di poter venire con Borsellino, cosa che a me fece, ovviamente, piacere.

In quelle ore ho visto, oltre che, ancora una volta, la grande passione professionale che li muoveva, la loro sintonia e la piena comunanza di vedute, di preoccupazioni, di esigenze; e come si integrassero le loro considerazioni.

Riflettevano e procedevano davvero in parallelo. Quel pomeriggio è un momento che mi è rimasto scolpito nel ricordo; e che non dimentico.

Rammento che mi proposero tre integrazioni, tutte raccolte, nella conversione del decreto, dall’allora ministro, Vassalli, cui le avevo trasferite.

Giovanni Falcone, come Paolo Borsellino, come altre vittime della mafia, era una persona che amava la vita e, insieme, era consapevole dei pericoli che correva. La sua dignità personale – e quella della propria funzione – lo spingevano ad affrontare questi pericoli, senza venir meno né attenuare, in alcun modo, la determinazione del suo impegno.

Per questo è ricordato da tutti – come è giusto – particolarmente da tanti giovani, come una vera e credibile figura di riferimento del senso delle istituzioni, della civiltà contro la barbarie.

Fonte:https://espresso.repubblica.it/inchieste/2022/05/17/news/sergio_mattarella_metodofalcone-349916218/